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venerdì 13 febbraio 2009

Il mio cammino di Santiago - 6




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Sahagun, sei giugno, mattina presto.
Dopo la colazione nella piazza principale della città, partiamo. Tutte le strade sono transennate con robusti telai e cancelli di acciaio. Domenica ci sarà una festa, libereranno tori per le vie della città e i coraggiosi correranno con loro, gli altri si godranno lo spettacolo. Sperando che nessuno si faccia male. Poveri tori, frastornati, accecati di rabbia e di paura. Queste tradizioni arrivano da molto lontano, fanno parte della storia e della memoria di un popolo, d'accordo, ma tutto questo si basa sulla sofferenza e la morte lenta di povere bestie.
In pochi chilometri siamo sull'altopiano, sempre sugli ottocento metri di altitudine. Il sentiero è diventato più sassoso e sconnesso di ieri - con la mia bici da corsa e le ruote lisce, mi alleno allegramente come slalomista e funambolo - ed il paesaggio è più brullo, ma questa impressione è attenuata dalle numerose specie erbacee che in questo periodo dell'anno producono fiori, fiori di vari colori e fogge per me - purtroppo - sconosciuti. Fa già molto caldo, nonostante l'ora. La strada è diritta, i pendii lievi. I chilometri si sgranano velocemente nell'arco della mattinata, fino alla periferia di Leon, una grande città. Siamo sulla sommità di una collina, il punto di fuga dello sguardo si concentra sulla maestosa cattedrale, tutto intorno si intravede il centro storico, dalla disposizione gradevole, e più all'esterno una caotica urbanizzazione. Discesa a capofitto in strada a quattro corsie.
Michele ha il freno anteriore che si blocca capricciosamente, di tanto in tanto. Arrivati a Leon cerchiamo un riparatore di bici, lo troviamo, Michele risolve il suo problema. Il traffico è caotico, ci dirigiamo verso la cattedrale. Molto simile a Notre-Dame (o è Notre-Dame molto simile alla cattedrale di Leon?), è la cattedrale con la maggiore superficie di vetrate istoriate in tutto il mondo, i vari colori che arrivano mi danno la sensazione di stare all'interno di un caleidoscopio. Gran bella frescura al suo interno, una specie di isola termica. Colonne che sembrano sequoie, il tetto che solletica il cielo, tre navate lunghissime. Molti pellegrini con il naso per aria. Un senso di grandezza che mi ricorda molti monumenti e vie di Parigi. Ma qui ci sono molti più sorrisi, più accoglienza, più apertura.
Rimaniamo inchiodati in un bar della piazza, ci facciamo fuori un gran numero di bocadillos e bevande. Ripartiamo, il centro storico è altrettanto colorato, come la cattedrale; colori di magliette dei turisti, colori dei tanti vasi di fiori alle finestre, delle numerose bancarelle, spezie e verdure, indumenti. Il cielo di un turchese che pare che ti caschi addosso da un momento all'altro da quanto è denso e saturo. Bello, tutto bello. Sarà la glicemia che mi è schizzata alle stelle dopo le tre coca-cole. Sarà.
La periferia è il solito casino di strade e traffico, la solita confusione delle grandi città. In una decina di chilometri torna la campagna, il sentiero assolato, i pellegrini, un po' di silenzio.
Bene.
Il silenzio ti lavora ai fianchi, non puoi evitare di non vederti. Devi far pace con te stesso, accettarti, riconoscerti. Riconoscerti è il punto di partenza. Dopodichè puoi cominciare a buttar via un po' di cose ammucchiate dentro te. Cose che ritenevi "indispensabili". Di tanto in tanto avverto che questo silenzio chiede ascolto, allora mi metto in coda, e lascio andare i miei amici un po' avanti. Per un po'. Sì, è proprio così: ho un po' di cose che dovrei buttar via. E un po' di cose che dovrei semplicemente accettare.
Ci sono stati molti anni in cui non ho guardato dentro, non ho ascoltato, e nel momento in cui l'ho rifatto - complice un gran silenzio di un viaggio solitario durato una settimana - non sapevo più chi fossi, e che cosa desiderassi e che cosa io facessi in questo mondo (cosa ancora a me oscura, ma sulle altre due domande ho qualche risposta). E la fatica, compagna del silenzio, accelera questo processo.
Per quaranta chilometri sarà così. Sentiero, campi, "buen camino", "egualmente", sole in aumento, papaveri, grano, fiori, altopiano, monti in lontananza (quelli di domani)...
Stiamo per arrivare ad Astorga, la strada asfaltata si srotola veloce; mentre percorriamo una ripida discesa sento che la bici sbanda un po'. Ruota bucata, in quattro la sostituzione della camera d'aria è molto più spedita, e più allegra. Riprende una divertente discussione. Io sono il "consumista" perché mi son portato dietro cinque camere d'aria, contro le loro due. Loro via via le riparano, io le butto via (una camera d'aria costa tre euro). La questione di principio della bici da leggenda di Bartali contro la praticità, il dibattito è ancora aperto...
Ecco Astorga, un bellissimo albergo del pellegrino (camere da quattro, posto per bici, terrazza, cucina, lavanderia) e un centro storico incantevole. Il sole è ancora alto (oggi tramonterà alle 21,54!), abbiamo percorso 107 chilometri e c'è tempo per una passeggiata, e per una cena a base di pulpo gallego e altre specialità marinare.
L'oceano è dietro quelle montagne. E anche Santiago.

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