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sabato 4 dicembre 2010

Il mio romanzo: La luna di piombo





Ecco qua, è mio, l'ho scritto io. Per me è già una grande gioia averlo portato a compimento.
Per gli ardimentosi che volessero acquistarlo e - addirittura - leggerlo, si possono informare qui. Per ogni copia acquistata, verserò 2,50€ ad Actionaid.org, scannerizzerò il bollettino di versamento ogni tre mesi e lo metterò nel blog.
Un saluto

domenica 21 novembre 2010

Mari e monti, vicino a Nordkapp

 Primo luglio 2010.
Come mi sveglio, sento il ritorno che incombe. Immagino l'accoglienza del vocìo festante dei figli, il lavoro con il suo fardello di soddisfazioni e pensieri, il sole della Toscana che mi trafigge e mi culla al tempo stesso, alcune importanti decisioni che dovrò prendere. Tutto questo in dormiveglia, ancora sommerso dal piumone con il riscaldamento acceso, mentre osservo fuori della finestra un gruppo di alberi che mi saluta muovendo i rami. Ma ho ancora un giorno di bici, e poi il ritorno con tre aerei, anch'esso un'emozione.
Uscito dall'albergo, mi attende una discesa di qualche chilometro, arrivo al mare e devio a sinistra per costeggiare il lato ovest di un lungo fiordo che mi porterà fino a Olderfjord, a ottanta chilometri da qui; poi prenderò un autobus per Alta.
Il cielo è livido, si avverte la potenza di un clima estremo, che può cambiare da un momento all'altro. Le montagne si riversano ripide in mare, c'è giusto lo spazio per la strada e una striscia d'erba di qualche centinaio di metri. I ruscelli buttano in mare acqua di disgelo, alzando lo sguardo vedi ancora placche di neve. Eppure - come diavolo sia successo non si sa - c'è anche un gruppo di pini marittimi, i pini più a nord del mondo. Forse il mare che mitiga e colora le montagne dell'entroterra, i monti che irrigidiscono il mare di questo fiordo - qui non arriva la corrente del golfo - nei mesi invernali, una dialettica drammatica quanto affascinante.
Una spiaggia a un passo dalla strada. Guardo l'ora, non resisto. Scendo di bici, mi levo le scarpe e infilo i piedi nel mare. Ghiaccio, mi pare ghiaccio: i muscoli rattrappiscono e dolgono, eppure mi sforzo di passeggiare per qualche decina di metri pensando agli intrepidi che fanno il bagno nei mari e fiumi della Russia il giorno di capodanno.
Riprendo il cammino, percorro una deviazione di un'ora di bici per raggiungere una insenatura con formazioni basaltiche sulla riva del mare. La leggenda dice che siano dei Trolls, spiritelli dispettosi venuti dal mare che volevano distruggere i fiordi di queste parti, ma che fossero stati immobilizzati dalle forze della luce, la luce dell'alba.
Oggi la luce è cupa: ci sono nuvole insistenti, c'è un vento freddo che porta anche schizzi di mare, ma il panorama è superbo. Isolette, insenature, golfi, il tutto condito da bassa marea. Sullo sfondo, un altro fiordo. Delle casette con fiori e prati, persino sul tetto, in garage la immancabile motoslitta.
Ecco - lieta sorpresa - un'aquila di mare, il rapace più grande dell'Europa settentrionale, che volteggia sopra la mia testa. Mi fermo e osservo: dieci minuti di ghirigori nel cielo, fino a che non punta dritta su un dirupo, raggiunge casa sua.
E' tempo di tornare, mi dice. 




lunedì 15 novembre 2010

Gruppo di lettura a Firenze

Sono passati tre anni e mezzo, e questa storia incomincia a diventare seria.

O allegra.
Una storia senza pretese, forse,  come il funambolo che guarda esclusivamente l'appoggio successivo del piede, e con una serie innumerevole di appoggi costruisce un percorso. Il funambolo non guarda mai l'estremità del filo, e così facciamo noi. Un passetto alla volta.
Ci siamo conosciuti in occasione dell'apertura di una biblioteca a Firenze, che avrebbe dovuto lasciare spazi da gestire per incontri di lettori, occasioni di scambio di letture, anche in orario serale. Così non è stato, le promesse sono state disattese. Ma da quell'occasione di incontro, ci siamo ritrovati in una libreria, in qualche casa, in un bar, per poi ritrovarci da molto tempo presso la sede dei Gesuiti a Firenze. Certo, avremmo preferito una biblioteca, sede naturale per un incontro del genere, ma va dato atto ai gesuiti che si sono rivelati il solo punto di riferimento stabile e accogliente, e senza chiederci un euro. Grazie di cuore.
Ci ritroviamo una volta al mese, e nel corso del tempo si è selezionato un gruppetto di affezionati lettori, e anche amici, a questo punto.
Cristina. Lei ha letto praticamente tutto, con il sorriso intuisce l'origine del brano che stai leggendo, e fornisce, con le sue impressioni, un sigillo di competenza sul libro in questione. Viaggia perennemente in bicicletta in mezzo ai fumi di Firenze. Come fa, è un mistero.
Francesca. Spazia dai classici alla novità, è un piacere ascoltarla. Se per sbaglio dimenticate in una cena del gruppo una sciarpa a casa sua, lei farà di tutto per non riportarvela. Ma, si sa, nessuno è perfetto.
Ilaria. Esperta di letteratura orientale, in particolare di quella giapponese. Del giappone conosce usi e costumi, i manga, parole, ideogrammi, musica. Io tutto ciò che sapevo dei giapponesi l'ho imparato da "Lost in traslation", e da un cugino che ha sposato una giapponese. Da Ilaria ho imparato molto di più a riguardo. Odia i pescetti fritti. Che le avranno fatto di male, poi.
Grazia. In genere predilige narrazioni brevi, a volte ci porta racconti per bambini, a volte poesie. Una volta si è dimenticata gli occhiali da lettura e non ci ha letto niente. Non ha accettato i miei in prestito, forse ha paura delle malattie trasmissibili via naso.
Marco. Ultimamente ci propina letteratura scandinava, comprese le emancipate abitudini sessuali di quei luoghi freddi. L'ideale per animare la serata. Ama i pescetti fritti, e le donne in accappatoio.
Stefano. Fa il bibliotecario, per lui queste serate potrebbero sembrare degli straordinari di lavoro, ma lo fa molto allegramente. Anche lui viaggia in bicicletta nello smog di Firenze, e non indossando cappelli come fa Cristina, ha perso tutti i capelli. Mal voluto...
Io. Coordino il gruppo, ogni tanto qualcuno cerca di spodestarmi, ma la mia brama di potere è tale da respingere con maestria tutti gli attacchi. Mando le mail, a volte 23 ore prima dell'incontro, e la gente si lamenta per il tardivo annuncio. Io dico: dovete restare svegli, con le fotocopie in mano e con la scusa pronta da dire al coniuge tipo "torno in ufficio/ ho un lavoro da consegnare /dopo ti spiego", insomma, robe così. La lettura prima di tutto, dico io.
Tra gli aficionados, voglio segnalare due grandi assenti dell'ultimo anno, che hanno però partecipato alla nascita e alla crescita di questo gruppo.
Valerio, i cui impegni di lavoro e familiari hanno reso difficile venire.
Teresa, la mia poetessa - vivente - preferita.

Tutto qui. Ah, abbiamo le modalità di partecipazione che ho travasato dai gruppi di lettura di Bombacarta a cui partecipai anni fa, che ci tramandiamo di generazione in generazione, e che - a mio avviso - funzionano alla grande: portate un testo (fotocopiato in dieci copie) di - meglio -una, due pagine al massimo di narrativa o poesia - niente saggi -, senza che, possibilmente, compaia il nome dell'autore; dovrete leggerlo, dare poi una breve motivazione del perché avete portato quel testo rimanendo ancorati a quel testo - senza sconfinare nella vita e le opere dell'autore - e breve discussione.
E via andare, senza difendere ad oltranza quel testo, lasciarlo in balia degli altri lettori, e possibilmente non ri- intervenendo dopo aver spiegato le proprie motivazioni.
E avanti un altro.
Chi volesse partecipare a questa avventura, è il benvenuto. Per informazioni, lasciare la mail nei commenti, mi farò vivo.
Intanto, un enorme grazie ai miei splendidi compagni di lettura

Toni





martedì 9 novembre 2010

La vita così diversa dalla mia vicino a Nordkapp








Oggi è il 29 giugno 2010, sono a sette chilometri da Karasjok.
Ho dormito a casa di un tipo. Il tipo, gestore del "Engholm husky lodge", si è voluto sdebitare con me offrendomi di dormire a casa sua per via di una mancata prenotazione. Durante la notte mi sono svegliato ed ho assistito da una finestra al bagno in un ruscello gelido all'una di notte, con il sole, di tutta la sua famiglia, e poi ho visto una tinozza gigantesca in cui si sono immersi in acqua calda. Sono così diversi da me. Io ero stanchissimo, ma anche fossi stato riposato, non credo che mi sarei tuffato in un ruscello di acqua di disgelo della neve dei monti circostanti. Li sto a guardare con una punta di invidia. Dormo.
Mi sveglio alle 7, e mi accoglie sorridente il padrone di casa, che mi racconta qualcosa di lui. Tutta la casa è stata interamente costruita da lui, quasi tutta in legno. Fuori ha un allevamento di cani husky che utilizza nei sei sette mesi di neve per escursioni di una settimana con comitive di otto persone per guardare i boschi, cacciare renne, e ammirare le aurore boreali. Per sei sette mesi lui porta gente in giro per il Finnmark, e se la cava da solo, per i restanti gestisce il lodge e addestra i cani. Non credo che mi metterei a cacciare renne(anche se qui sono un numero rassicurante, sulle 200.000 unità), ma insomma mi incuriosisce e mi attira il suo stile di vita. Ieri sera stavo per entrare in casa sua, lui mi ha chiesto con decisione di togliermi le scarpe. E' gentile e disponibile, ma nello stesso tempo ha i suoi punti fermi. Anche portare in giro gente per sei mesi con temperature di meno venti e non avere nessun assiderato o morto nel suo curriculum mi fa pensare che abbia i nervi saldi e che legga i sentieri invisibili ed innevati di questa regione, non usa gps e niente motoslitta. Insomma, la sua vita è incredibilmente diversa dalla mia.
Lo saluto, e parto per Karasjok, la raggiungo dopo una mezz'ora. E' la capitale del popolo Sami, vedo di tanto in tanto gente vestita di blu e rosso, un costume caratteristico dei lapponi di queste parti. Qui hanno il parlamento, che ha un consistente potere decisionale, e vivono in pace con i norvegesi. Ho visitato il parlamento, avevo una guida solo per me che mi aspettava, avvertita telefonicamente dal centro del turismo. Alla fine del giro in questa struttura dal design avveniristico ed articolata nelle sue destinazioni d'uso(camera del parlamento, biblioteca, varie sale riunioni, uffici amministrativi) la guida rifiuta categoricamente la mancia, è il suo lavoro, mi spiega, è già retribuita. Poi mi fermo al museo Sami, vedo le loro abitazioni, leggo degli usi, ascolto dei canti tradizionali, mi soffermo sui loro utensili e i loro gioielli. Dopo un quarto d'ora mi allestiscono una sala multimediale con proiezione della loro storia in lingua italiana, solo per me. Insomma, hanno una gentilezza e una disposizione al sorriso che non ha eguali.
Proseguo, abbandono il centro abitato e mi aspettano ore di pedalate in solitaria, ogni tanto passa un'auto, pioviggina. Sulla mia sinistra, all'orizzonte, un massiccio montuoso con strie verticali di neve che lo percorrono interamente. Questi monti , progressivamente più vicini, mi faranno compagnia per tutto il giorno. Intorno a me muschi, licheni e alberi di piccole dimensioni. Zanzare, a migliaia. Per fortuna odiano il movimento della bici, mi assalgono solo quando mi fermo per mangiare e fare foto. L'andamento della strada è ondulato e faticoso: sto percorrendo delle colline a ridosso di miriadi di laghi. Smette di piovere, in lontananza vedo il mare. Anche un po' di sole, adesso. Una discesa a capofitto a fianco di un fiume emissario di un lago, e raggiungo Lakselv, quattro case quattro munite di Coop(giuro che si chiama così) e soprattutto di un comodo albergo zeppo di signore e signori che non vedono l'ora di raggiungere Nordkapp il giorno seguente muniti di avventuroso autobus a due piani. Faccio una doccia e mi fiondo a mangiare. Il menù a buffet è l'ideale dopo ottantacinque chilometri di bici. Camera esposta a nord, le nuvole sono rade, potrò ammirare il sole di mezzanotte.
A domani

mercoledì 3 novembre 2010

Sangue di cane. Veronica Tomassini

Nella "Bottega di Lettura" ho inserito un articolo sul libro "Sangue di cane" di Veronica Tomassini.
Ecco, volevo dirvelo.
Toni La Malfa

sabato 30 ottobre 2010

Discorso del presidente


Con queste mie poche parole desidero ringraziare il presidente Hu Jintao e il primo ministro Wen Jiabao. Ringrazio voi, e tutto il popolo cinese, per l'accoglienza ricevuta in questo straordinario ed immenso paese. Mi ricordo con commozione il momento in cui, quando avevo solo ventiquattro anni, fu proclamata da Mao Tse Tung la nascita della Repubblica Popolare Cinese, e oggi provo quella stessa commozione. Non mi sarei mai immaginato, allora, che, ormai vecchio, mi sarei trovato qui, in veste ufficiale di presidente della Repubblica Italiana, sessantuno anni più tardi. La Cina ha camminato tanto in questi anni: ha permesso a un miliardo e trecento milioni di esseri umani di poter avere nutrimento, assistenza per le malattie, una casa, un lavoro. Non è poco. Questo immenso paese ha percorso, in campo economico, negli ultimi venti anni, tanta strada, ha bruciato le tappe di un progresso industriale che in altri paesi si è sviluppato in più di un secolo. Spero che gli accordi commerciali, l'import-export tra Italia e Cina, le relazioni culturali e di amicizia si sviluppino in misura sempre crescente. E' un paese immenso, il vostro, dalle immense risorse, il cui cammino non deve però ritenersi concluso. Il progresso non si misura esclusivamente dal prodotto interno lordo, ma anche dai mezzi con i quali queste immense ricchezze sono state create. Con il lavoro, certamente. Ma anche con il lavoro di sei milioni di persone - spesso esclusivamente colpevoli di aver dissentito nei confronti dello stato - internate nei laogai in cui si produce di tutto - dai giocattoli ai computer, ai mobili per la casa e via discorrendo - e in cui le condizioni di vita sono disumane. Il cammino non deve ritenersi concluso, signor presidente e signor ministro, se ancora oggi la censura agisce pesantemente sui mezzi d'informazione, se impedisce la visibilità di molti siti internet, se lo stato impedisce di manifestare liberamente. Come avvenne durante i tristi giorni del 1989, che avrebbero potuto essere un'occasione di confronto, aspro ma civile, con i nuovi modelli politici e sociali che animavano la fertile mente di molti studenti universitari, insegnanti, operai. I fatti del 1989, tristemente noti sotto l'icona di piazza Tienanmen, si sono risolti in un bagno di sangue, in deportazioni, campi di "rieducazione", condanne a morte.
Uno dei capostipiti di quel movimento politico e intellettuale è Liu Xiaobo più volte imprigionato e sanzionato, fino alla recente condanna a undici anni di reclusione, esclusivamente per reati di opinione. Liu Xiaobo, in virtù del suo forte impegno nella promozione dei diritti umani, è stato insignito del Premio Nobel per la pace. In carcere non può gioirne con nessuno, gli è impedito di rilasciare interviste a giornalisti, e anche la sua moglie Liu Xia è agli arresti, per il semplice fatto di essere la moglie di uno scomodo premio Nobel.
Chiedo al signor presidente e signor ministro - e qui concludo - di riservare al vostro concittadino Liu Xiaobo la stessa accoglienza che è stata riservata a me, e ove questa non fosse possibile e conveniente, chiedo che sia liberato e prosciolto dalle sue accuse. Che oggi stesso possa riabbracciare la moglie, che il dieci dicembre possa lui stesso ritirare il premio Nobel.
Vi chiedo tantissimo, me ne rendo perfettamente conto. Vi chiedo questo in nome della sconfinata ammirazione che provo per questo paese, in nome di un sempre più esteso riconoscimento della Cina come protagonista della scena mondiale da parte di tutta la comunità internazionale; ve lo chiedo ricordandomi la commozione che provai sessantuno anni fa, perché quelle promesse di una Repubblica Popolare Cinese appena nate non vengano più disattese.
Grazie, signor presidente, grazie signor ministro.

Questo è il discorso che avrei desiderato ascoltare dal Presidente Giorgio Napolitano, una persona che stimo, in occasione della sua visita in Cina. Così non è stato, ci sono stati solo dei vaghi e fumosi richiami ai diritti umani(che probabilmente nessuno ha capito).

Peccato

Toni La Malfa

giovedì 21 ottobre 2010

I norvegesi, i cinesi e gli italiani







Quando facevo le scuole elementari, spesso ci raccontavamo barzellette che potessero mettere in risalto la furbizia del popolo italiano - ci illudevamo di essere i migliori - rispetto ai difetti di altri popoli. Se oggi dovessi inventare una storiella del genere, metterei ben altro in risalto. Ci provo.

Ci sono dei norvegesi che ogni anno vogliono premiare una persona nel mondo che si sia distinta in attività umanitarie, o che possa essere portatrice di pace. Il premio in questione è il premio Nobel per la pace. Questi norvegesi, un comitato eletto dal loro parlamento, hanno assegnato il premio Nobel 2010 per la pace a Liu Xiaobo, un cinese che ha promosso nel suo paese battaglie per i diritti civili ed umanitari, e che ora sta scontando una pena di undici anni in carcere per avere criticato aspramente il governo cinese in più occasioni.

I giudici cinesi che hanno condannato Lu Xiaobo dicono di lui:

... Liu Xiaobo

si è reso colpevole del reato di incitamento alla sovversione dell’ordine statale vigente e del sistema socialista, con una condotta ben oltre i confini della libertà d’espressione. Pertanto le istanze difensive presentate dall’imputato e dai suoi avvocati non possono essere accettate. Considerati entità, natura, circostanze e grado di pericolosità sociale del reato ascritto all’imputato Liu Xiaobo, la Corte, in conformità con gli articoli […] del Codice Penale della Repubblica Popolare Cinese,

giudica:

1) L’imputato Liu Xiaobo colpevole del reato di incitamento alla sovversione dell’ordine statale vigente, lo condanna a una pena di undici anni di detenzione e lo priva dei suoi diritti politici per dodici anni.[...]

Ci sono degli italiani che hanno accolto con tutti gli onori il 7 ottobre scorso il premier cinese Wen Jiabao, e hanno concordato con lui e il suo management l'obiettivo di raggiungere nei prossimi 5 anni l'interscambio di 80 -100 miliardi di euro. Bene. Siamo in crisi, e questi accordi commerciali daranno una briciolina di respiro in più alla nostra economia. Ma non una sola parola è stata detta sulla violazione dei diritti umani in Cina, su come questi favolosi fatturati dei cinesi vengano raggiunti, spesso imponendo lavori forzati(campagne di rieducazione) a dissidenti, professori, intellettuali, studenti (si parla di milioni di cinesi che lavorano gratis), inoltre sottopagando la manodopera, infischiandosene delle norme di sicurezza sul lavoro. Non una parola è stata detta sul partito unico, sulla assenza di libertà di stampa, sulla mancanza, di fatto, della libertà di espressione.

Anzi.

Un italiano, il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, ha espresso un «apprezzamento ammirato» per il ruolo della politica internazionale della Repubblica Popolare Cinese. Il premier elogia la «molta saggezza» che c'è nelle relazioni internazionali della Cina la quale «si presenta sempre con la volontà di sedare tutti i contrasti e risolvere tutte le situazioni con grande saggezza e serietà» nel segno di quella che un ministro cinese ha definito una politica ispirata «all'armonia».

Quasi un paradosso temporale, dunque, l'annuncio di poche ore dopo, l'8 ottobre, dell'assegnazione del Nobel per la pace a Liu Xiaobo. Il gelo dei rapporti diplomatici minacciato da Pechino alla vigilia di questo annuncio non ha spaventato il comitato del Nobel.

Al gelo, evidentemente, i norvegesi sono abituati.

Viva i norvegesi. Viva Liu Xiaobo. Ci auguriamo che il dieci dicembre possa lui stesso ritirare il premio Nobel per la pace 2010.

giovedì 7 ottobre 2010

Eroica 2010: you can be heroes...































Non lasciatevi trarre in inganno dalla prima foto, dal sapore vagamente trionfalistico.
La foto - in realtà anche le altre due - si riferisce alla sera del tre ottobre 2010, una data per me importante, anche se in quel giorno non ho vinto niente, non ho ottenuto allori né lauree, né ho conseguito alcun premio per aver scoperto qualcosa di importante.
Anzi: ho faticato tutta una intera domenica, alzandomi alle due e mezzo del mattino, tornando a casa alle undici e mezzo di sera.
Ma qualcosa di bello l'ho vinto, sì, lasciatemelo dire.
Che cosa ho fatto?
Ho partecipato all'Eroica 2010, una manifestazione ciclo-turistica che si tiene nelle strade asfaltate e, perlopiù, nelle "strade bianche", quelle sterrate, del Chianti. Sono arrivato al traguardo della distanza più lunga entro il tempo massimo, giusto in tempo per essere inserito nell'"albo d'oro" dei partecipanti, il che per me è una grande vittoria. E' l'unica gara in bicicletta a cui ho partecipato in vita mia.
Sono partito al buio da Gaiole in Chianti, poco dopo le cinque del mattino, e vi sono tornato dopo le sette di sera, all'imbrunire, dopo aver percorso 209 chilometri immerso nella bellezza, inzuppato di sudore, sporco di fango, affaticato, a volte disperato, e felice di esserci. Con il buio, la nebbia, il sole, la pioggia, il freddo, poi il caldo, le salite imbrattate di fango, le discese spesso segnate pesantemente dalle ruote dei trattori, attraversando paesi simbolo di Chianti per tutto il mondo: Gaiole, Brolio, Siena, Radi, Montalcino, Asciano, Castelnuovo Berardenga, Radda. Avvertendo il calore e l'accoglienza di coloro che si sono prestati per l'organizzazione ai sei ristori, ai crocevia, nei bivi delle strade bianche, in campagna, nei boschi.
Oggi è mercoledì, e ancora mi arriva energia ed entusiasmo dall'esperienza compiuta domenica. Sì, lo ammetto, mi sono sentito eroico, molto vintage, come la mia vecchia eroica bicicletta Colnago - un po' malandata, con ruggine qua e là, poverina, comunque utilissima: per partecipare il regolamento richiedeva una bici di fabbricazione anteriore al 1987 - e orgoglioso di aver potuto, con la sola forza delle mie gambe, percorrere tutti i 209 chilometri di silenzio e panorami mozzafiato, come i tanti cipressi e case sulle colline, proprio in cima.
Le strade bianche, le vedi lontane, pare che non ci arriverai mai, sui versanti oltre, di là dal fondovalle, e poi ti ci trovi dentro, le maledici per quanto sudore e fatica ti fanno spremere, poi le benedici voltandoti un attimo indietro, per poi ricominciare avanti a te. Una specie di metafora della vita, ed è incredibile quante cose rivedi e riesci a pensare in 209 chilometri in bici.
Grazie Eroica, per avermi fatto sentire eroico...just for one day.

mercoledì 29 settembre 2010

Una buona nostalgia















Mi trovo a camminare in un paese in silenzio.
L'ora è tarda, ma non troppo. Se fosse estate piena, sentiresti le cicale che urlano e sferragliano come una vecchia locomotiva, una colonna sonora festosa, una specie di Buena Vista Social Club, e la luce ti inonderebbe ancora di calore.
Invece non è più estate, non è ancora autunno, e la luce di un lampione prevale sul sole al tramonto; una luce tiepida, discreta come le nocche di una bambina che bussano alla porta.
Mi trovo sommerso da buone sensazioni. Questo lampione è una specie di madeleine che mi rimanda alle scuole elementari, gli anni del boom economico, dell'esplosione demografica che ci costringeva a fare i doppi turni nelle scuole, un mese la mattina e uno il pomeriggio. Erano le cinque e mezzo di sera, un ottobre anni 60, a Piombino, mi vedo a dieci anni con la cartella e il giacchettino blu di ordinanza che stavo tornando a casa a piedi, poca gente per strada, una nebbiolina e un fresco non ancora freddo, ormai non più caldo. La luce del lampione che rischiarava sé stesso e poco altro, regalava ombre sui muri e la mia ombra, che si accorciava e si allungava ad ogni nuova luce.
E oggi, come allora, sento di desiderare questo stato, che la bella estate sarebbe insostenibile se non lasciasse mai il passo a questa nuova dimensione. Che permette di soffermarsi sui chiaroscuri, sulla morbidità dei contorni. Un poco più raccolto, raggomitolato, dimesso.
Una campana sta suonando, sette rintocchi in tutto.
Non voglio altro adesso, solo una buona nostalgia.

martedì 14 settembre 2010

I cieli a Capo Nord















































Caelum, non animum mutant qui trans mare currunt. La saggezza del pantofolaio Orazio - da menzionare anche "parva sed apta mihi", iscritto sulla sua casetta - ci ricorda che è inutile andarsene a tremila chilometri da casa nella speranza di cambiare il proprio stato d'animo. In realtà il mio animo mi sembra un po' rasserenato - se non per merito del viaggio, forse sarà per un innalzamento della glicemia di cui non mi sono ancora accorto - comunque è certo il fatto che i cieli cambino tantissimo da queste parti. Pare che le nuvole viaggino molto velocemente(non ci sono tante terre, a queste latitudini) e inoltre le infinite ore di luce estive consentono di guardare un panorama che "mutat" di continuo, per giunta esaltato dalle varie angolazioni della luce del sole, perlopiù radente. E d'inverno lo spettacolo è garantito dalle aurore boreali, anche se su uno sfondo di freddo intenso e precipitazioni nevose.
Oggi è il ventinove giugno, martedì. Ho cieli a disposizione per tutto il giorno, e dovrò percorrere centoventotto chilometri in bici per arrivare vicino a Karasjok. Anche se dovrò pedalare per tante ore, approfitto del fatto che ho già prenotato per stasera e che il sole non tramonterà, per attardarmi al punto di partenza, Kautokeino, presso la casa-museo "Juhls Silvergallery" costruita dai coniugi Juhls, che hanno tratto ispirazione dalle forme dei monili del popolo Sami per creare i più disparati oggetti di gioielleria - perlopiù argento, ma utilizzano qualsiasi materiale - e anche sculture e pitture. Un bello spettacolo: la casa, concepita secondo morbide linee curve e pendenti, si integra perfettamente nel bosco alla periferia di Kautokeino; il suo interno è avveniristico ed accogliente al tempo stesso, e i gioielli fotografano e tramandano un artigianato che sarebbe andato altrimenti perduto: spirali infinite in bracciali e orecchini, giochi di colonne e piramidi che si tuffano in cerchi concentrici, lune e soli, e stelle. Bravi.
Esco dal museo alle 11,30, temo che arriverò tardissimo stasera. Pazienza. Anche volendo, non potrei far niente per arrivare prima. Mi fermo a comprare acqua, salame, due panini, e cinque "kvikk lunski", identici al kit-kat(chissà che non sia un boicottaggio dei norvegesi nei confronti della Nestlè).
Per tutto il viaggio percorrerò una valle incuneata tra monti e colline, scavata dalla forza di ghiacciai che hanno lasciato laghi e fiumi nel fondovalle. Il primo tratto di venticinque chilometri è in comune con la strada di arrivo di ieri, questo è un po' scocciante. I cieli però variano lo stesso, merito delle nuvole. Sono partito con un cielo plumbeo, via via si è alleggerito lasciando squarci di azzurro. Fa quasi caldo, e appena c'è caldo qui si scatenano le zanzare. Per fortuna non ce la fanno ad appoggiarsi su di me mentre pedalo, per cui è solo un fastidio psicologico: in certi punti dell'aria si vede scuro da quante ce ne sono. Anche il decorso del fiume varia di continuo: ci sono delle anse che hanno creato banchi di ghiaia enormi, oppure degli isolotti di sabbia, e a volte questi isolotti sono interamente tappezzati di alberi. Verso le quattro c'è sole pieno con qualche nuvoletta qua e là, la temperatura è mite, sui 17 gradi; sono solo le placche di neve sulle colline un po' più alte a ricordarmi dove mi trovo. A guardare simili panorami, a sentire la brezza sul viso, il sole che ti scalda le ossa, a sentire le gambe che si muovono bene, ascoltando lo scroscio dell'acqua e i rumori del bosco, a fare tutto questo, insomma, ringrazi il cielo di essere vivo. Di quante opportunità e quante bellezze la vita può riservare. a volte avverto la pesantezza di alcune situazioni della mia vita che mi inchiodano al suolo, in altre - come adesso - mi sento leggero e anche il mio fardello prende il volo.
Gli ultimi quindici chilometri prima di Karasjok sono dentro un fitto e fresco bosco, arrivo al bed and breakfast alle nove di sera. E, come in un brutto sogno, il proprietario mi annuncia che oggi non ha consultato internet e non ha visto la mia prenotazione. E ora non c'è posto. Prima opzione: mi propone, scusandosi, di arrivare in paese ad un altro bed and breakfast. Il paese è a sette chilometri da qui, sono stanchissimo e ho fame, non ce la faccio. Allora, seconda opzione: mi ospita in casa sua. Approvato, anche se mi sento un po' in imbarazza. Per stanotte dormirò nel mio sacco a pelo piazzato su pelli d'orso che tappezzano quasi interamente il suo parquet(qui tutto è legno, dalle stoviglie alle scale al tavolo massello al bidone al lampadario) in soggiorno. Mi offre della renna cotta alla brace, buonissima, la divoro in pochi minuti. Mi chiede se voglio unirmi al fuoco fuori, c'è una specie di festa con dei suoi parenti, mi tiro indietro per la stanchezza, vado a dormire, crollo. Mi sveglio più tardi, verso l'una di notte, sento delle risa ed urla di bambini. Mi affaccio alla finestra e vedo una decina di persone che fa il bagno in un ruscello(immagino la sua temperatura), accanto c'è pronta una gigantesca tinozza(di legno, ovviamente) con acqua fumante, immagino quasi bollente. Dopo pochi minuti i bagnanti(bambini, uomini, donne, immagino tutti parenti del padrone di casa, lui incluso) si accovacciano tutti insieme, sorridenti e festaioli, nella enorme tinozza.
Il sole è alto nel cielo.
Torno a letto di buonumore, il loro sorriso mi ha contagiato.

domenica 5 settembre 2010

Etica e natura, vicino a Nordkapp























Dopo l'incontro con Capo Nord atteso da una vita(più o meno consapevolmente), ieri pomeriggio ho preso un autobus che mi ha rispedito ad Alta, al punto di partenza. Sono sceso in serata ad Alta con pioggia battente e freddo.
Ventotto giugno, lunedì. Stamani c'è il sole e nove gradi. Bene. Mi aspetta una pedalata di centotrenta chilometri per raggiungere Kautokeino, nel cuore della regione dei Sami, che in Norvegia hanno ottenuto riconoscimenti giuridici, sociali ed economici. Da novemila anni stanno in queste terre, è giusto che continuino a starci, ne hanno convenuto i norvegesi, gli scandinavi arrivati molto più tardi. Ci sono state aspre lotte per ottenere tutto questo, ma ora i Sami hanno un loro parlamento, un territorio, una lingua. I Sami residenti in Finlandia non stanno bene come loro, e quelli residenti in Russia, nella vicina penisola di Kola, praticamente non esistono giuridicamente. E' un bellissimo esempio - i Sami e i norvegesi - di convivenza pacifica e fruttuosa.
Molti Sami tutt'oggi vivono nomadi, in tende per lunghi periodi dell'anno, spostandosi in relazione alle migrazioni delle renne. Per vivere accanto alle renne, devi pensare come una renna, e correre come una renna. Il mondo, dicono, è nato da una renna speciale, una renna bianca: i suoi occhi sono le stelle, le sue vene i fiumi e i laghi, il suo manto i monti e le colline, ed il suo cuore sta al centro della terra. Quando hai perso la via, appoggia l'orecchio sul terreno e ascolta il battito del cuore della renna bianca: ti aiuterà a ritrovare la strada.
Per tutto il viaggio di oggi, mi troverò accanto al fiume Alta-Kautokeino, che nei primi quaranta chilometri(in realtà alla fine del fiume, vicino alla foce) si snoda attraverso strette gole, dei veri e propri canyon, con l'acqua che dà spettacolo di sé. Sono solo per decine di chilometri. Solo acqua, renne, boschi. Dopo cinquanta chilometri, in cima ad una collina - altitudine 400 metri - trovo una casa, l'insegna del caffé. Mi fermo. Si tratta di una casa, una fattoria, nel cui soggiorno hanno attrezzato una accogliente sala da té, con una torta di frutti di bosco e dei panini. Prendo un panino e un caffè. Mi godo le trine alle finestre, le foto di famiglia; nell'accogliente e pulito bagno c'è un angolo in cui hanno piazzato una poltrona. Torno in soggiorno, una coppia di turisti - gli unici che ho visto da stamani - se ne va, rimango solo ed incantato. La proprietaria è in cucina, sta preparando qualcosa per stasera, fuori c'è un uomo - forse il marito - che sta segando la legna. Poco dopo passa dal corridoio una bella ragazza di circa vent'anni - la figlia, immagino - con passo stanco, in ciabatte, che si dirige in una camera. Mi immagino una vita aspra, d'inverno c'è neve alta per mesi; qui si fermano le slitte con cani e motoslitte dirette ad Alta, in percorsi invisibili che solo la gente del posto conosce. Vado a pagare. Cinquanta corone, dice la signora. Pago con una banconota da cinquanta corone. La signora prende la banconota, la inserisce nel registratore di cassa, e mi fa lo scontrino fiscale. Lo scontrino. Nessuno fuori. Alta a cinquanta chilometri, Kautokeino a ottanta, foreste e un fiume. Lo scontrino. Lo guardo, e la signora mi saluta sorridente, che non capisce la mia sorpresa; forse capirebbe venendo in Italia, nell'Italia dei furbi. E' stata l'esperienza più sconvolgente di questo viaggio. Qui si respira etica, oltre all'odore della terra umida.
Ora sto pedalando in altopiano, con il fiume sempre impetuoso, tanti boschi e di tanto in tanto qualche placca di neve residuo dell'inverno. Una di queste, piuttosto grande, ha la forma di una colomba. E in quanto a volatili, ho la fortuna di assistere al volo di un'aquila. Mi fermo e la seguo finché la vedo, una decina di minuti di spettacolo. Le aquile mi emozionano, l'ho già scritto in questo blog. Non c'è alcun motivo legato alla sopravvivenza per loro di fare tutte quelle evoluzioni, di avvitarsi in aria sempre più su, è solo il piacere di farlo, probabilmente, di fare cose che nessun altro uccello sa fare così bene.
Il viaggio scorre placido accanto al fiume, anch'esso più calmo. Sono le otto di sera, sono arrivato a Kautokeino, trovo l'albergo.
Ho fame e sonno. E sono contento di essere arrivato qui.

domenica 22 agosto 2010

Mondadori? No, grazie!

Mi ricordo una storiella che parla di un tipo che vuol smettere di fumare. Incontra un amico e gli chiede una sigaretta. L'amico gli dà la sigaretta un po' contrariato, replicando: "Ma non avevi smesso di fumare?" "Sì, ne ho intenzione, e sono alla prima fase: ho smesso di comprarle!".
Io sono in questa fase: ho deciso di smettere di comprare libri Mondadori, anche se non smetterò di leggerli(evviva le biblioteche, in questo caso, anche se preferirei vedere i miei libri letti in bella vista sugli scaffali del mio studio) .
Perché? Il motivo è semplice: ho letto l'articolo di Massimo Giannini apparso su Repubblica il 19 agosto scorso e ho deciso di non versare più soldi ad un'azienda che si fa una legge ad hoc per evitare il terzo grado di un processo che, in caso di sconfitta, avrebbe obbligato la Mondadori a versare 350 milioni di euro(173 milioni di euro di imposte dovute, alle quali si devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali sanzioni), chiudendo definitivamente la questione con il pagamento di 8,6 milioni di euro, il 5% di 173 milioni. Ovviamente, a parte qualche lettore di questo blog, nessuno si accorgerà nessuno del mio simbolico "boicottaggio": i miei acquisti annuali di libri Mondadori in confronto agli utili del gruppo Mondadori non rappresentano nemmeno un paramecio in confronto ad un elefante, ma tant'è. La Norvegia, nei suoi investimenti all'estero del suo enorme fondo pensioni, sceglie eticamente di non investire in aziende di armi, alcool, o che sfruttino il lavoro minorile. Mi sembra altrettanto etico non rivolgere i propri acquisti verso aziende che bypassano le regole del libero mercato evitando contenziosi tributari che parlano di tasse non pagate, facendosi leggi su misura. E anche i dubbi che nutre Vito Mancuso, sull'opportunità di continuare a pubblicare per Mondadori, dovrebbero far riflettere tutti gli autori che pubblicano per Mondadori. Così come Saramago, di fronte al gran rifiuto di Einaudi di pubblicare un lavoro dell'autore estremamente critico nei confronti di Berlusconi, decise di non voler più pagare, come sostenne ironicamente a giugno Le Monde, i sigari del proprietario di Einaudi.
Mondadori?
No, grazie.

giovedì 19 agosto 2010

La luce, a Capo Nord




































Ieri sono arrivato a Honningsvag con la pioggia. Era stata una bella giornata di sole con le nuvole che si rincorrevano e la temperatura relativamente mite, sui 15 gradi. Tutto bene, finché alcune nuvole probabilmente hanno litigato e si sono impuntate su un bordo di cielo, sono diventate nere e hanno creato un ingorgo. Nel giro di mezz'ora la luce ha cambiato qualità e intensità, ne è sortita una specie di crepuscolo livido e ombroso. Ha cominciato a piovere, per fortuna solo nella mia ultima ora di pedalata, e non ha più smesso. Oggi è il 27 giugno, domenica. In queste notti, da quando sono arrivato, non ho mai usato le tende oscuranti alla finestra. Sono così stanco, dopo otto ore di bicicletta, che potrei dormire anche dentro un solarium. Così se la notte apro gli occhi, sbircio fuori della finestra e intravedo il miracolo della luce a qualsiasi ora. Stanotte ho visto luce e pioggia, ininterrotta. Ora sono le sette e mezzo e metto fuori il naso: ancora pioggia battente, nebbia, e vento così forte che mi sposta i piedi(raffiche a 70 km l'ora, leggerò sul meteo), freddo(5-6 gradi). Mi convinco della necessità di fare gli ultimi 35 km che mi separano da Nordkapp con l'autobus. Alla fermata, qui a Honningsvag, sull'asfalto bagnato è stato disegnato con il gesso il gioco del mondo; dev'essere emozionante, per un bambino, giocare al mondo sul tetto del mondo.
Sembrano le cinque di sera di un inverno piovoso, invece sono le otto e trenta del mattino; a bordo dell'autobus ci siamo io e un giapponese. Incollo il viso al vetro del finestrino, si intravede la vegetazione artica - i soliti muschi e licheni, sempre loro - alternata a sassaie, placche di neve più frequenti; vedendo panorami così aspri, è comprensibile che dal 15 agosto in poi non è più garantito l'accesso a capo nord. La strada si inerpica su colline tappezzate di niente, niente alberi, nessun animale, nessun uomo in giro. Arrivo a Capo Nord, scendo dall'autobus in un piazzale desolato, tiro fuori la bici dal bagagliaio dell'autobus. Mi sento un po' smarrito, ma emozionato, sorrido al giapponese in mezzo alla pioggia, anche lui mi sorride.
E'un'emozione forte. Non importa il maltempo oggi, per me. Capo Nord è un luogo, certamente, e prima di tutto. Ma è anche un'idea, un nord che si trova nella testa, un senso aspro delle cose, una grandiosa bellezza talvolta difficile da cogliere e interpretare, forse come la vita. Sette anni fa scrissi un racconto, un tipo che parte per capo Nord dopo essere stato lasciato dalla moglie. Me ne ero dimenticato, fino a qualche giorno prima di partire.; tanto per rimarcare il fatto che da tanto tempo mi ronza capo Nord nela testa. Vi lascio il racconto alla fine del post.
In mezzo a questa pioggia e nebbia intravedo il centro di accoglienza, un luogo orribile dotato di caffetteria, ristorante, infarcito di souvenir e maglioni e berretti Nordkapp. Per fortuna c'è poca gente. Esco in direzione mare, di là dalle vetrate è situato il monumento simbolo di questo posto, un enorme mondo trapassato dall'asse terrestre inclinato di 26 gradi. A me non dispiace; in fin dei conti all'inclinazione dell'asse terrestre, è giusto sottolinearlo, dobbiamo tanto: le stagioni, il mutamento della luce nei vari periodi dell'anno, compresi il giorno e la notte polare. Più avanti ancora, un piazzale recintato e al di là, il niente, la nebbia. Ci sono, in questo momento invisibili, delle scogliere che vanno a picco per trecento metri fino al mare. Al di là questo mare, solo mare, e lastre di ghiaccio. I 71 gradi di latitudine, che difficilmente si oltrepassano - a meno di non visitare le isole Svalbard, chissà... - danno il senso di un irraggiungibile cui ci siamo avvicinati, il "più in là" di Montale che diventa un poco più a portata di mano. Guardo la nebbia, e ripenso alla luce di questi giorni. Ne ho vista tanta. Quando non è filtrata dalle nuvole, ti ritrovi questa luce sempre addosso, forse perché non sollevandosi tanto dall'orizzonte non ti puoi scordare della sua presenza; perfino a mezzogiorno, e in tal modo, trovandosi ad altezza occhi, abbaglia. Ma non ferisce, non ho mai usato occhiali da sole qua. Verso la mezzanotte - ho avuto modo di notare in altri giorni - il sole sta nel punto più basso all'orizzonte (verso nord! dove ci hanno insegnato che non c'è il sole) e dà l'illusione di un tramonto - lunghissimo - che non ci sarà. Poi risale, procedendo verso est. Esiste, qui, anche il nord magnetico; è il nord stesso, in un certo senso, capace di generare il fenomeno delle aurore boreali. Pur non potendovi assistere, ho visto nel bellissimo museo di Alta - qualche giorno dopo l'arrivo a Capo nord - diversi filmati relativi alle aurore boreali. Sono fantastiche. Le luci che giocano, mutano, si rincorrono, quasi desiderassero, nelle lunghe notti dell'inverno, riaffermare la luce sul buio, in modo plateale. Oppure dialogarci, con il buio. Tutti è estremo, qui, tutto è paradossale. Vedi cose che non vedi da altre parti. La neve in pianura di giugno, il sole che non tramonta e che transita anche a nord, le aurore boreali. Vedi degli uomini che da queste parti convivono con sei mesi di strade ghiacciate, neve, e ti chiedi come sia possibile. Il popolo Sami(o lappone) che vive qui da 9000 anni, parla della luce come un padre(il sole) che dialogando con la terra(la madre) dà la vita. La luce dialoga con il buio , cresce a scapito del buio stesso, da settembre inizia il processo inverso. Tutto uguale all'equatore, tutto diverso, a seconda del momento dell'anno, qui. Una palestra di luce e buio, una lotta e un dialogo infinito. E' tutto, per oggi.
Qui sotto vi metto il racconto di cui vi ho parlato.


Il viaggio

Era ormai da lungo tempo che pensava ad un simile progetto: ora, anche suo malgrado, poteva fare quel viaggio. In realtà si sarebbe aspettato uno stato d'animo diverso rispetto a quella vigilia di partenza, lui che apprezzava i preparativi e il momento iniziale quasi quanto il viaggio stesso.
Erano per lui strani giorni, contrassegnati da un evento che segna un prima e un poi: sua moglie che gli deve parlare - ma lo fa tutti i giorni, che significa? - dice di essere cresciuta interiormente, ha capito che lui non gli basta più, vuole fare nuove esperienze, le manca l'aria, e via di seguito bla-bla-bla.
Col passare dei minuti dall'inizio di quella conversazione comprese che il suo indice di gradimento stava per raggiungere gli abissi più profondi, il suo senso di autostima stava subendo un duro colpo e mentre guardava la bocca di sua moglie muoversi e articolare suoni che la sua corteccia non riusciva più a tradurre come parole, capì che avrebbe dovuto, da quel momento, badare solo a se stesso.
Si diventa improvvisamente un'entità singola, e si torna a pensare in dispari. Era molto strano dopo che, per molti anni, anche per le cose più banali in fondo alla sua checklist evocava la di lei costante presenza: - Ma questi biscotti con le mandorle piaceranno anche a lei? - oppure: - Penso che vada bene sabato sera per la cena a casa tua, Paolo, ma ti dò una conferma tra una mezz'ora, ok? - Tutta una serie di meccanismi della sua mente divenivano improvvisamente inutili, obsoleti, venivano spazzati via in un: - Ti devo parlare - e lasciavano un gran vuoto, questa era la sua prima considerazione.
Il treno era il mezzo ideale: gli dava la possibilità di guardare fuori e di guardare dentro, di fare brevi o lunghe tappe e scendere più o meno dove voleva.
Nonostante le ultime vicissitudini e il marasma mentale dettato da quei profondi cambiamenti, aveva chiara in mente la meta. Andare a nord, raggiungere il nord per antonomasia: Capo Nord. Con l'idea che si era fatto da piccolo dei punti cardinali, gli era rimasto in testa che il nord è avanti,il sud indietro, l'ovest a sinistra e l'est a destra, e guardare avanti era vagamente il suo programma.
Per giunta, sempre pensando a molti anni prima, alla carta geografica appesa ad una parete della sua aula, realizzava che il nord è su, il sud è giù, e lui ora voleva risalire, voleva affrontare quella ripida salita per poi guardare le cose dall'alto; gli veniva poi in mente che in posti come l'Oceania forse tenevano la cartina rovesciata, e le sue sicurezze vacillavano, ma solo per un attimo: si riprendeva pensando che lui non stava in mezzo ai canguri, e dunque non erano affari suoi.
Il treno conteneva il solito coacervo di studenti, lavoratori, turisti. Era piuttosto affollato nonostante i fatti di cui stiamo raccontando risalissero al limbo di un mercoledì qualunque del periodo tardo-primaverile post-pasquale in cui la metà delle conversazioni che si sente in giro ha come tema: "Il periodo di ferie che farai quest'estate, la meta e cosa ti aspetti da tutto ciò; descrivi anche le strategie che stai attuando in questo momento per ridurre lo strato di pinguedine che non vorrai mostrare al mare e che ti separa dalla felicità".
Cercava un posto davanti ad una bella ragazza, giusto per avere un quadro vivente davanti a sè che potesse essere fonte di godimento, tipo agli Uffizi mettersi davanti alla nascita di Venere e contemplare; solo contemplazione, in rari casi poteva avvenire una sia pur minima interazione. Ma accadeva anche, con suo gran dispiacere, che non potesse trovare un posto simile: o per mancanza del soggetto in questione, o perché la situazione sarebbe stata troppo palese e equivoca, magari mezzo treno vuoto e lui davanti ad una lei.
Quel giorno però, trovò una buona sistemazione: in uno dei vagoni per non fumatori c'era una ragazza piacevole, assorta nella lettura di un piccolo tomo, che lasciava davanti a sè due posti liberi, tutto ok; per non essere di impaccio per le gambe di lei, fra l'altro lunghe e ben fatte, ricoperte in parte da una gonna a tubo blu scuro, si sarebbe potuto accomodare accanto al finestrino con classica disposizione diagonale.
Si accinse a sistemare sulla tendina i bagagli preparati non molto diligentemente il giorno prima; nel momento in cui aveva ammucchiato le sue cose, aveva avvertito la paura – quasi certezza - di dimenticare qualcosa, sperava almeno che non fosse qualcosa di vitale importanza. Aveva chiesto alla sua ex-moglie il permesso di lasciare le sue cose lì per qualche tempo, e compresso l'essenziale in uno zaino da montagna e una valigia di pelle, che davano risalto, essendo in contrasto tra loro come destinazione d'uso - l'uno per avventura e l'altra da corso di aggiornamento - al carattere di estrema improvvisazione che rivestiva quel viaggio.
Gli pareva comunque salutare il fatto di poter lasciare nella sua ex-casa molti suoi oggetti, forse con il viaggio avrebbe compreso l'inutilità di molti di essi e non avrebbe litigato in seguito per il possesso dei libri senza il timbro personale, o della sedia impagliata dello studio, chissà.. Ma intanto si era immobilizzato là, in piedi, con le mani appoggiate alla valigia, con lo sguardo proteso al di là del finestrino, come se stesse cercando di cogliere un particolare che gli fosse sfuggito.
Il sussulto del treno che si metteva in marcia lo richiamò all'ordine, e mettendosi a sedere fece una rapida zoomata sulla tipa, sempre intenta alla lettura; proprio niente male, pensò, nonostante l'aria eccessivamente compita, tipo segretaria del capo: capelli lisci, neri con riflessi bluastri, lineamenti morbidi, occhi grandi, azzurri, bocca carnosa, un bel seno messo in risalto dalla maglia aderente, e l'aria assorta sul libro che le dava un piacevole tocco di seriosità.
Sperava che non scendesse alla stazione successiva, dopotutto voleva solo darle uno sguardo furtivo di tanto in tanto, mica saltarle addosso! La sensazione del treno in movimento era per lui piacevole in quel momento, forse desiderava che si muovesse qualcosa al suo interno, che potesse rinfrescare, rivitalizzare l'aria stagnante degli ultimi giorni; subiva di buon grado le scosse, gli sballottamenti derivanti dai cambi di binari abbandonando il suo intero corpo come una canna al vento.
Non faceva molto caldo, era mattina presto e la progressione della luce gli avrebbe dato il senso di progressione del viaggio, almeno in quella prima tappa.
Il sole basso all'orizzonte dava un impasto di colori tenui, la velocità dava la possibilità di soffermare lo sguardo solo sugli oggetti lontani.. Un'onda di benessere lo sorprese: avrebbe voluto congelare quell'istante, quel senso di indefinitezza e approssimazione; tutto sarebbe potuto accadere da quel momento in poi, e d'un tratto capì che il viaggio verso capo nord sarebbe durato una vita intera..

sabato 14 agosto 2010

Il buio. Verso Capo Nord













































Il buio.
Non è esperienza che si possa facilmente fare in estate, nel circolo polare artico. Il buio, semplicemente non c'è. Ma io me lo sono andato a cercare.
Nei tunnel per Nordkapp.
Sabato ventisei giugno sono partito da Skaidi in direzione nord-est, direzione mare. Un nuovo mare, un lunghissimo fiordo del Mar Glaciale Artico mi attende. Sono sempre in altopiano, c'è il sole e una temperatura sui diciotto gradi, che contraddice l'aspetto dei monti e colline circostanti tappezzate da placche di neve. Oggi percorrerò centoventi chilometri di solitudine, fino a Honningsvag, distante trentanove chilometri da Nordkapp. Gli alberi si diradano sempre di più, non vedo l'ora di raggiungere il mare. Mi piace la sensazione di passare da un mare all'altro, in questo caso tra un fiordo e l'altro, ma con la percezione di essere in una terra - in un'acqua, meglio - difficilmente definibile; qui si mescolano l'Oceano Atlantico, il Mar Glaciale Artico, il mare di Barents poco più in là, così come la Norvegia, la Finlandia e la Russia si compenetrano e si embricano intimamente. Quando raggiungo la costa, tutto si apre.
E' una follia staccarsi dal mare, mi viene da pensare.
Per ottanta chilometri non troverò altro che insenature, uccelli marini, due aquile e sole e vento e nuvole. Nonostante tutte queste visioni idilliache, oggi affronterò un'esperienza orribile, mai provata prima. Che avevo sottovalutato.
I tunnel, in bicicletta.
Me ne troverò quattro da attraversare. Dalla luce intensa dell'estate di queste latitudini al buio, un buio spettrale, accentuato dall'escursione termica(dai diciotto gradi di oggi ai sei-sette gradi dei tunnel).
Il primo, lungo due chilometri, più freddo degli altri tre, sovrastato da un monte con un ghiacciaio, che gocciola qua e là, con placche di calcare scivoloso sui bordi(un po' come le stalattiti).
Il secondo, di settecento metri, con un segnale inquietante all'entrata: non c'è illuminazione interna. Io ho un faretto davanti, due stop intermittenti dietro. Spero che tutto questo basti. Invece, esattamente a metà del tunnel, la mia luce anteriore è un punto in un magma solido di buio, procedo con terrore tirando a indovinare, mi trovo per un istante troppo nel mezzo della strada, per fortuna in quel momento non passano veicoli.
Il terzo, infinito, di 6,8 chilometri, che congiunge l'isola di Mageroya dove c'è Capo Nord, alla terraferma. Una discesa lunga e umida, che ti porta a più di duecento metri sotto il livello del mare, poi un plateau di qualche chilometro nella nebbia, e infine una salita al nove per cento che ti riporta in superficie. Ogni volta che passa un'auto o un pullman, tutto il tunnel fa un'eco progressivamente più forte, fino ad urlarti in modo insopportabile quando ti passa accanto. Nel tratto in salita ho un attimo di panico. Mi si sgancia la catena mentre inserisco un rapporto più morbido. Scendo, con la luce fioca della galleria riesco in poco tempo, per fortuna, a riagganciarla. E risalgo, fino alla luce.
Il quarto, inatteso, di quattro chilometri e quattrocento, mi accoglie quando la mia tensione nervosa ha esaurito tutta l'adrenalina. La mia paura è ormai stanca.
Sono sensazioni che ho provato, lo percepisco chiaramente, in qualche incubo notturno, con luci velate, freddo, umido, e il mio fiato dal respiro corto come sottofondo. Con una voglia di urlare, buttare la bici, e accucciarsi in un angolo del tunnel con la testa tra le mani.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.

lunedì 26 luglio 2010

L'acqua. Verso Nordkapp






















E' l'acqua.
L'acqua che muove noi e muove anche i panorami e le emozioni.
L'acqua silenziosa come la neve, scrosciante come un ruscello, invadente come un'alta marea, potente come un temporale, immobile come il ghiaccio.
Penso all'acqua mentre oggi, venticinque giugno, sto pedalando verso il nord che ho nella mia testa da una vita, verso Capo Nord, verso Nordkapp. Ora la vedo sotto forma di placche di neve, sulle colline che mi circondano in questo altopiano sui 400 metri che congiunge Alta a Skaidi, due nomi qualsiasi che per me significano la prima tappa di un viaggio in bici, nella Norvegia del circolo polare artico. Qui la neve è l'espressione prevalente dell'acqua, persino quando la neve non c'è: i chilometri sono, nelle strade principali, indicati con dei cartellini tenuti a più di un metro e mezzo da terra da dei bastoni flessibili - le pietre miliari sarebbero invisibili per molti mesi qui -, i pozzetti della linea elettrica sono segnalati da dei lunghi bastoni gialli, e i rari cartelli turistici sono spesso protetti da un tettino in legno.
Di tanto in tanto si vedono i bastoni a bande nere e gialle, quelli che stanno a indicare l'altezza della neve, quelli che se ne stanno anche in mare, nei fiordi ad indicare il livello delle maree. In fin dei conti è la stessa cosa, l'acqua che c'è, l'acqua che non c'è. Sì, è la stessa cosa, l'acqua che muove i panorami e muove anche noi. E' solo il periodo che cambia: per le maree ci sono intervalli di otto ore, governati dalla luna, mentre per la neve la sua presenza ed assenza si regola sui mesi, governata dal sole.
La neve, si avverte ovunque. Anche questo tratto stradale d'inverno è sommerso dalla neve e chiuso per mesi. Dopo ogni bivio - anche i bivi sono una rarità, a volte per cento chilometri non ne vedi - all'inizio di ogni strada si trova una barriera, una specie di passaggio a livello e un semaforo, ma oltre non c'è la ferrovia, non ci sono incroci pericolosi, c'è il possibile blocco della circolazione causa neve e ghiaccio. In compenso ci sono dei sentieri invisibili, quelli che d'inverno percorrono le motoslitte, contrassegnati da dei segnali e dal taglio degli alberi(dove gli alberi ci sono).
Tutto è estremo qui. La quantità di acqua, la sua temperatura, anche d'estate vicina allo zero. Il panorama muta improvvisamente, anche il clima è governato dai capricci dei venti e delle nuvole che corrono rapide sopra la mia testa.
Gli alberi mi abbandonano, e mi trovo tra muschi e licheni, tra tappeti morbidi e sgargianti di erba. Progredendo nel viaggio, la neve a placche si fa vedere più insistentemente, anche se la temperatura si aggira sui dieci gradi. Mi fermo, osservo. C'è un ruscello che divide due colline, una cascatella, un tappeto erboso, e poi neve ai miei piedi. Mi lavo le mani con la neve prima di mangiare.
Non c'è nessuno, il telefono non ha segnale ormai da diverse ore. Sono solo, a tremilanovecento chilometri da casa, tutto questo mi dà gioia, dei brandelli di felicità, anche se non capisco esattamente il perché. Sono le sette di sera, devo ancora percorrere trenta chilometri e so che il sole, ancora alto sull'orizzonte, oggi non tramonterà.