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martedì 28 maggio 2013

Io voto Carolina Girasole(sottotitolo: la mafia è una montagna di merda)

Leggo da qui, e copio-incollo:
Carolina Girasole, il sindaco anti ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto, è stata sconfitta alle elezioni comunali del 26 e 27 maggio. Il Comune in provincia di Crotone non ha confermato il suo lavoro, dedito alla lotta alla mafia e incentrato sulla legalità. Nei bar brindano e offrono cornetti, contenti della “liberazione” da chi in paese aveva obbligato i cittadini a pagare le bollette dell’acqua, scrive Niccolò Zancan su La Stampa.
Gli attacchi alla Girasole non sono stati pochi, spiega Zancan. La sindachessa anti ‘ndrangheta, così la chiamano, ha confiscato terreni alla mafia ed è l’unica che ha provato a contrastare “certi poteri e certe famiglie”. Ma i suoi concittadini non l’hanno apprezzata e alle elezioni comunali la Girasole, abbandonata anche dal Pd che ha proposto Damiano Milone, ha oscillato tra il 12 e il 13% delle preferenze.
Zancan scrive della festa nei bar:
“Nei bar non ti danno tregua. Offrono cornetti e brindano: «Ce ne siamo liberati! Evviva! Quella si credeva la paladina della giustizia, ma ha detto soltanto falsità. Qui si sta benissimo, altroché mafiosi. Dovete scriverlo: da cinque anni non c’è un morto ammazzato. Mentre quella ha ucciso il turismo a forza di parlare di ‘ndrangheta. Ha infangato tutto il paese. Voleva fare carriera sulla pelle nostra»”.
Poco importa delle minacce e delle intimidazioni che la Girasole ha ricevuto. Le bombe in municipio, le auto infiammate e le scritte “Ti ammazziamo”. La mafia non c’è qui, dicono in paese. 

lunedì 27 maggio 2013

Il bivio











bivio



L'auto di lui era ferma, in attesa, nel piazzale. Come sempre. Poi arrivò lei con una gran sfanalata che dette l'impressione alle macchine di direzione contraria che ci fosse un autovelox nei paraggi, qualcuno sfanalò per ringraziare. Scese di macchina e la sfanalata si trasformò in un sorriso.
Lui aspettava trepidante in macchina come uno scolaretto al primo giorno di scuola. Eppure non era il primo. No, affatto. Dio che bella impressione che le fece appena salì. L'analisi di tale impressione gli faceva affiorare una domanda: ma perché non decidevano di andare a vivere insieme? Cosa mancava, oltre al coraggio di farlo? Non era data risposta, e per un attimo il suo volto si rabbuiò. Solo un attimo.
"Ciao tesoro." Intanto si era aggrappato ad una sua mano, la stringeva forte.
"Ciao, mi fai male." Valeria sorrise.
"E questo è solo l'inizio" nonostante l'ingombro della leva nel cambio, si protese ad abbracciarla stretta, più della mano.
"Ahia, che ti prende?"
"Non voglio perderti."
"Sono qua, Davide."
"E domani?"
"Domani no." Si liberò dalla stretta e guardò fuori dal finestrino. Pioveva, si intravedevano le ombre dei cipressetti di contro ai lampioni. Si sentiva il crepitio delle gocce fini sul tetto dell'auto. Le domande si insinuavano piano piano in quell'abitacolo scuro e ovattato, apparentemente senza un gran disturbo. Una ninna nanna di pioggia e di domande.
Valeria si rianimò."Dove andiamo?"
"Messicano?"
"No, preferisco un ambiente tranquillo stasera" si piegò sul lato destro e con la stessa mano si ravviò i capelli."Ho lavorato fino a tardi. No, messicano no. Un'altra sera."
"Hai un'idea allora?"
"Il solito in centro?"
"Va bene" Davide accese il motore e partì.
Il cameriere ebbe un po' di problemi ad accendere la candela, infine ce la fece - non senza un malcelato compiacimento - e ripartì, verso la cucina. Due piccole candele si riflessero negli occhi penetranti di Valeria, ora sembravano luccicare.
"Come stai?"
"Bene. E lei? E la famiglia?"
"Bene grazie." rispose Davide ridendo."No, Valeria, volevo chiederti sul serio: come stai. Come ti senti dentro questa storia."
"E' senza speranza. In banca la darebbero come "pronti contro termine". Insomma, finché dura. Cerchiamo di succhiare il midollo della vita per sentire in punto di morte che eravamo vivi. Diceva così Whitman? Sì, dai. Succhiamolo 'sto midollo. Dai."
Tornò il cameriere.                           
"Due antipasti con affettati, crostini e lardo di colonnata." Disse Davide rivolgendosi al cameriere. "Tu la vuoi la tagliata?"
"Sì."
"E due tagliate con rucola."
Il cameriere versò il Morellino di Scansano nei bicchieri.
Dopo averne bevuto un sorso, Davide si avvinghiò su un pezzetto di focaccia calda.
"Noi, Valeria" ingoiò rumorosamente " stiamo bene insieme. che cosa ci frena? che cosa ti frena?"
"Io" Valeria si mise a giocherellare con una mollica sul tavolo "non me la sento di lasciare mio marito. Tutto qua. Non ce la farebbe senza di me. Mi vuole bene."
"E tu?"
"Io gli voglio bene. Come ad un fratello. Del resto tu non te la sentiresti di lasciare i tuoi figli. No?"
"Non lo so. Vorrei parlartene estesamente."
"Non si risolve a parlarne, Davide. E' come andare in bicicletta. O ci vai o non ci vai."
"Io vorrei andare in bici con te, Valeria."
Il cameriere si schiarì la voce e depose sul tavolo gli antipasti.
"Il lardo è caldo al punto giusto. Vi consiglierei di mangiarlo subito."
"Grazie."
Davide prese il vassoio e porse a Valeria il lardo, il prosciutto della Garfagnana, il crostino con fegatini e quello con il pomodoro. Cascò un pezzetto di pomodoro sul tavolo. Si sparse una macchia d'olio sulla tovaglia di broccato.
"Porca miseria."
"Tanto la devono lavare," fece Valeria " di che ti disperi?"
"Hai ragione." Davide si versò i suoi antipasti. "Non mi devo disperare."
Il tepore sfiorò le labbra, il grasso e il piccante del lardo si diffusero in tutta la bocca. Calore. Calore.
"Vorrei fare l'amore con te, Valeria."
"Anch'io. Lo abbiamo già fatto. E forse lo faremo anche stasera."
"Sì. Ma lo vorrei fare quando io e te lo desideriamo, in qualsiasi giorno della settimana. Non quando hai il corso di yoga. O quando tuo marito va a lavorare fuori. Vorrei farlo quando ci viene in mente e basta. Vorrei fare una vacanza con te. E vorrei anche non guardare l'orologio in ogni momento della sera."
Il calore e la delicatezza del lardo si erano diffusi anche in pancia. Calore, sentiva Davide in quel momento. Lo avvertiva anche Valeria.
Bevvero insieme un altro sorso di vino. Rosso sangue, come la tagliata che arrivò pochi minuti dopo.
La carne era sufficientemente morbida. Usciva sangue ad ogni colpo di forchetta.
"Abbiamo una vita sola. Non c'è un rewind per tornare ad un bivio e imboccare l'altra strada."
"Lo so, Davide. E sono grata alla vita per averti incontrato. Sarebbe potuto non accadere."
"Sì. A volte ci si incontra per caso. Come è successo a noi. Le coincidenze capitano a tutti, bisogna vedere l'importanza che gli dai. Noi abbiamo scelto di continuare a vederci. E' bello. Ma siamo fermi lì."
"Siamo fermi. Mmm..." Valeria alzò gli occhi, tirandosi indietro i capelli con un mezzo giro della testa - proprio come piaceva a Davide -  e si mise ad inseguire, seria seria, un pensiero nell'aria. "Fermi. Siamo fermi. Forse proprio per questo riusciamo a vedere tutto più nitido, no? Come in un ritratto. Fermo. Statico. Tu che ci vedi?"
"Valeria, io vedo noi. E vedo bellezza. Io..."
"E i tuoi figli?"
" Sono così belli. Anche loro. Finora non si rendono conto dei problemi che vivono papà e mamma. Ci stiamo riuscendo. Finora."
"Abbiamo una vita sola: la vita dei tuoi figli, la nostra, la vita di Mauro, quella di tua moglie. Lo vedi come è complicato?"
Davide spinse la forchetta con veemenza su un pezzo di tagliata, ne uscì un rivolo di sangue che andò ad unirsi con l'aceto balsamico."Sì, ma alla fine ognuno deve fare la sua parte e deve pensare al suo di bene; per far bene agli altri deve essere sereno con se stesso, Valeria."
"D'accordo. Va bene. Ma ti ripeto: i tuoi figli. Come la mettiamo?"
Davide prese il tovagliolo, si pulì lentamente le labbra mentre pareva che volgesse lo sguardo all'infinito, avanti a sé, trapassando Valeria. "Non lo so, Valeria. Non lo so. Ma il tempo sta per finire."
"Quale tempo?"
"Quello delle scelte. Rischiamo di fare gli spettatori delle nostre vite."
"Come andava la tagliata?" Irruppe il cameriere togliendo i piatti, anche se in quello di Valeria c'erano ancora due pezzetti di carne. C'era un tempo anche per la tagliata.
"Oh. Bene. Bene direi."Rispose in modo automatico Davide, accompagnato dal sorriso di Valeria.
"Un dolce?"
"No. Grazie. Tu?"
"No." Valeria agitò in segno di rifiuto la mano destra.
"Due caffè" riprese Davide "ed il conto."
Usciti dal ristorante li sorprese una brezza gelida, la pioggia era stata spazzata via. 
"Dove andiamo?"
"Non lo so, Valeria."

Qualche foglia di platano si rincorreva sull'acciottolato. Valeria si strinse a Davide. L'unica certezza che Davide avvertì fu il piacere di quell'abbraccio. Non sapeva nient'altro.

sabato 11 maggio 2013

La fine di Andreotti


Nel 1991 la rivista satirica "Cuore" lanciò ai suoi lettori la seguente proposta: "Votate le 5 cose per cui vale la pena di vivere". L'iniziativa ebbe un grande successo, e alla fine dell'anno fu pubblicato il risultato conclusivo in un numero speciale che riportava dodici pagine zeppe di desideri, dai primi posti fino a quelli votati addirittura da una sola persona. Migliaia di aspirazioni, progetti, ambizioni, tutti spediti tramite posta; è molto più facile fare un clic e spedire una e-mail oggi, piuttosto che riempire allora un tagliando, imbustarlo, comprare un francobollo e cercare una buca delle lettere. Quindi le persone che parteciparono erano anche molto determinate a farlo. Che cosa si chiedeva al genio della lampada della sinistra italiana degli anni 90? Ebbene, ai primi cinque posti del giudizio universale c'erano: l'amore, gli amici, il sesso, la figa, la fine di Andreotti.
Nulla di strano per i primi quattro, ma il quinto posto era davvero sorprendente. La fine di Andreotti aveva superato la musica, i soldi, viaggiare, la libertà, scopare, la salute.
La fine di Andreotti si è concretizzata politicamente il 6 maggio 2013, ovvero nel giorno della sua morte, tenendo conto del fatto che era senatore a vita. Pensate a coloro che avevano inserito questa "cosa per cui vale la pena di vivere" 22 anni fa: avevano una lista incompleta, ammesso e non concesso che avessero potuto vedere concretizzati gli altri quattro desideri. Alcuni di essi sono morti prima di Andreotti, altri hanno cambiato idea e non esultano. Molti di essi sono ancora vivi e non hanno cambiato idea. Sono in gran parte ultra 50-60-70enni che avranno visto cambiare per diverse volte lo stemma e il nome del loro partito, che avrebbero tristemente visto oggi Andreotti - se Andreotti avesse potuto vivere dell'altro - probabilmente militare nelle file del loro stesso partito. Che avranno fischiato  negli stadi il minuto di silenzio in ricordo di Andreotti.
Credo che la fine di Andreotti, anche se la fine, almeno biologicamente parlando, non si augura mai, fosse, in quel Giudizio Universale, un accanimento derivato da un cocktail di avvenimenti, persone e cose: di un bacio tra Andreotti e Riina, una spruzzata di sospetti sulla morte di Pecorelli, Ambrosoli, Sindona, Calvi, tanto per dirne qualcuno. Insomma, chi spedì quel tagliando nel 1991 non farà oggi salti di gioia. Ma insomma, se ha avuto la salute dalla sua parte e la pazienza di aspettare, è già qualcosa.

domenica 5 maggio 2013

Il mondo



Cominciò un altro viaggio.
Luigi lasciò la sua casa di Fucecchio nel tardo mattino di un giorno di maggio trascinando i suoi bagagli verso l'R4 bianca, il suo vanto. Erano poche le cose di cui andava fiero - era così riservato che le celava persino a sé stesso - ma la sua macchina bianca con gli adesivi di Jim Morrison e del sole che ride con la scritta " Atomkraft? Nein Danke!" era, per Luigi, un sicuro motivo d'orgoglio. Amava quei complicati finestrini e quel buffo gancio che funzionava da cambio, apprezzava quel curioso effetto "barca a vela" nelle curve. Inoltre era stato il primo acquisto non sponsorizzato dai genitori, dunque un territorio interamente suo.
Sistemò i bagagli - tendina e sacco a pelo compresi - in bauliera e partì.
Non aveva voglia di fare la superstrada, motivo per cui si diresse, per strade secondarie, verso Castelfiorentino, Certaldo, Siena.
Quella strada gli dava la possibilità di soffermare lo sguardo sulle case sparse nella campagna; preferiva quelle in cima ad una collina e su di esse fantasticava progetti e modifiche. Una qualsiasi poteva rappresentare la sintesi dei suoi desideri. Una qualsiasi: ci metteva l'aia per far razzolare le galline, un ciliegio nel lato opposto all'ingresso, un trattore - ma forse no, forse bastava la zappa e il vanghetto - e qualche migliaio di metri di terra coltivabile, la sua R4 parcheggiata all'ombra di un paio di lecci. E magari una decina di cipressetti e un cane festoso che segnavano l'arrivo a casa.
Pensava a quel mondo, ma poi gli passava, e pensava anche che non era tanto sicuro di volerlo, quel mondo.
Non era sicuro di niente.
Lambì Siena, raggiunse la Chiantigiana e proseguì verso Sant'Angelo, dove si trovava il suo amico Pietro. Pietro non si sarebbe stupito di vederlo, pensò. Un pensiero rassicurante.
E fu proprio così.
Quando Luigi arrivò alla sua casa - sul versante est di una collina a due passi da Sant' Angelo e Montalcino - Pietro stava armeggiando intorno al trattore. Aveva la sigaretta in bocca e lo sguardo concentrato su una candela. Si girò verso Luigi che stava spegnendo la macchina, poi riportò l'attenzione sulla candela che stava grattando con una spazzola d'acciaio. Luigi scese di macchina.
- Problemi? –
Pietro spostò più di lato la sigaretta e strizzò gli occhi.
- Sì, cazzo. Ma qui basta puli' le 'andele. Te, invece..-
- Già.-
- Che giri?-
- Giro, tanto per fa’.- Luigi tirò su le spalle.
- Leti'ato con Serena?-
- Sì. Ma 'un è solo quello.-
Pietro cominciò ad avvitare le candele.
- Rimani qua a dormi'? –
- Sì. –
- Metti il caffè sul fo'o che arrivo.-
Luigi prese i bagagli, salì la rampa di scale esterna che conduceva ad un portone stretto ed alto, uno di quelli con vetri opachi ed inferriate. La porta era aperta, dava direttamente su una grande stanza. Il lato destro era occupato da una cucina in muratura rivestita di mattonelle bianche e blu.
Lo stile rustico era interrotto bruscamente da una supertecnologica lavastoviglie Miele, segno di un acquisto recente. Preparò la moka, la mise sul fornello e si spostò davanti ad un finestrone sul lato opposto alla porta. Si vedevano - alla luce del tramonto - due colline lavorate a vigna, un recinto al cui interno stava pascolando un cavallo maremmano e, in lontananza, un bosco. Parve, per un istante, catturare un pensiero importante - il suo viso si illuminò - ma gli sgusciò via, così rapidamente come era arrivato.
Sentì il rumore del trattore, un paio di sgassate e nuovamente il silenzio.
- M'hai portato 'ulo - disse Pietro spalancando la porta - è partito..-
- L'ho sentito.-
- Ma 'un ne pole più, sarebbe l'ora di ri'omprallo..-
- Eh.. Soldi ce n'hai? –
- Mi'a tanti. Anzi, punti. Magari lo prendo 'r prossim'anno. A rate.-
Luigi sentì il caffè uscire - pensò al fatto che da piccolo ne imitava il borbottio - spense il fornello e si spostò sulla parete opposta; aprì una vetrina e la scrutò.
- 'Ndove l'hai messo lo zucchero?-
- Ah, è qua sotto.. - Pietro aprì uno sportello stretto a destra dei fuochi - è arrivata la mi' mamma l'artra settimana e ha messo a posto. Ora 'un si trova più un cazzo.-
Si guardarono l'un l'altro e risero.
Pietro riattaccò: - E Serena? Cazzo è successo stavolta? –
- Te la faccio breve, Pietro. E' finita.- Luigi lesse incredulità nello sguardo di Pietro. - Davvero.-
- Ma che dici? –
- E' così.-
- 'Un c'è verso..-
- No, 'un c'è verso perché è una stronza, se'ondo me. Ora però 'un ho voglia di..-
- D'accordo.- Tagliò corto Pietro, mostrando le palme delle mani.
Luigi versò il caffè nelle tazze che aveva appoggiato sul tavolo in mezzo alla stanza. Ne uscì un po' di fuori.
- Cazzo.-
- Fa niente, vai - Pietro fece un sospiro - dicevo del caffè..
Luigi vagò nella stanza con la tazza in mano fino ad appoggiarsi col sedere al muro accanto alla finestra, Pietro stava seduto al tavolo con lo sguardo basso.
- E il dottorato?-
- Niente da fare; è passato il paraculato del Franchi avanti a me. A settembre esce il concorso per le superiori. Magari lo provo. E te? Com'è?-
- Boh, son qua rintanato. Con un casino di lavoro daffa'. Ogni tanto passa 'uarcuno. E' venuta Silvia un mese fa. Ma poi vanno via tutte.-
- Eccerto, che speri? Sei 'n culo ar mondo. Hai mandato via curriculum?-
- Sì. Banfi, Antinori, Biondi Santi e altri. E' difficile 'e mi rispondano, ma poi - in caso - che faccio con questa roba? - Allargò le mani nella stanza.
- Vabbeh, di migliorie n'hai fatte. La rivendi.-
- Luigi. Qui c'è la liquidazione della mi' mamma. E ho preso anche un mutuo. Mi sto facendo un gran mazzo, ma se arriva una bella grandinata - fo per di' - sono fottuto. Artro 'e migliorie.-
- E se 'un arriva? –
- E se 'un arriva - sorrise - e se va bene fino a settembre, poi si va in cantina. E magari gli vo' ner culo all'Antinori e a tutti gli artri.-
- Bene - Luigi portò la sua tazzina nel lavello.
- Però - riprese Pietro accarezzandosi il mento con la barbetta incolta - ci dev'esse' dell'artro in questo mondo.-
- Che voi di'? –
- Boh. 'Un lo so nemmeno io.. Senti 'n po', voi rimane' un paio di settimane a rama' le viti? –
- 'Un so come si fa..-
- 'Un ci vo' la scienza. Te lo fo vedere domattina. Poi ti pago.
- Vai in culo, Pietro.-
Scoppiarono di nuovo a ridere.
- Ti darò un po' di vino, allora. –
- Eh, quello sì.-
Pietro guardò l'orologio.
- Sono le sei. Sistemati la roba in camera che poi si prepara cena. Ho i pici cor sugo e di se'ondo si pole fa' una frittata d'asparagi.-

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Dopo cena Pietro disse: -Aspetta 'n po'- Uscì dalla porta di casa con una torcia in mano e tornò dopo alcuni minuti con un fagotto. Lo aprì sulla tovaglia spargendo un mucchietto d'erba.
- Così ci si rilassa un po'.-
- 'Ndove l'hai presa?-
- Ho la mi' 'ortivazione personale sotto un tunnel di rovi. 'Un si vede nemmeno dall'eli'ottero.-
- Perché, passano gli eli'otteri per controlla'?-
- Boh. Ma 'somma 'un si vede.-
Pietro rollò la canna, la accese e la passò a Luigi.
- La senti 'om'è?- disse Pietro con un'aria beata.
Dopo un ping-pong di mezz'ora intercalato da frasi smozzicate e risolini, Pietro disse:
- Vorrei anda' alle Svalbard.-
- Che?-
- Ti fo vede', vieni.-
Andarono in camera di Pietro e si avvicinarono alla scrivania, dove c'era un mappamondo. Pietro indicò dei puntolini vicino al perno superiore che sorreggeva la sfera.
- Le Svalbard. Sono delle isole all'altezza dell'80° parallelo. C'arriva una nave rompighiaccio dalla Norvegia. Durante 'r viaggio - e che viaggio - si vedono foche, balene, orche. E sulle isole ci so' tempeste di neve, un casino di freddo. La natura incazzata..-
- E che cazzo ci fai laggiù?-
- Boh. Ci so' delle miniere. Magari trovo lavoro 'n cucina. Poi leggo, scrivo, passeggio..-
- Passeggi a 30-40 sotto zero?-
- Massì. Quando 'r tempo è bono, ho letto che passeggiano anche lì. Poi si torna 'n casa. E si parla. E si guarda fori. La grande notte polare e poi - finita la notte - il sole che s'inchioda ner cielo, l'alba infinita. O il tramonto..-
- Bisogna averci un casino di sordi per anda' lì. No?-
- Nove milioni e cinquecentomila lire solo 'r viaggio andata e ritorno.-
- Eh. Appunto. Diciannove milioni sono un casino di sordi. Ma poi se si fa ir viaggio di sola andata, son nove e mezzo in due.-
- 'Un mi di' che voi veni' anche te.-
- O vengo io o la topa della Corti. Scegli.-
- Meglio te, altrimenti col freddo che fa, 'un faccio altro che tromba' e 'un esco mai.-
Risero, risero, risero. Pareva che non dovessero più smettere. O che non volessero. Forse avevano anche paura di smettere.  Ma infine le risate si smorzarono e Pietro disse solennemente:
- Ci vorrei davvero anda', Luigi. Mi sono rotto ir cazzo.-
- Ma di 'osa 'n parti'olare? –
- Di tutto, 'un lo vedi? Io faccio finta di fa' 'r mulino bianco: la casetta, ir mangiare biologico, la vigna. Ho fatto l'università, poi ir master di du' anni in enologia, e sono qui. Se le 'ose vanno bene tra dieci anni ho finito di paga' debiti. Oppure vendo e gio'o a fa' 'r piccolo enologo da uno di quegli stronzoli.
E' così. E intanto Paola - te la ri'ordi no? coi su' 'amicioni lunghi e le su' idee sulla 'omune agri'ola -  m'ha mollato e se n'è andata cor figliolo der Pieretti, l'industriale. E beve “soft drinks” alle festicciole tra amici tutta 'ngioiellata come un arbero di Natale. E te? Voi fa' ir ricercatore, ir professore. E poi t'inculano. Te e la tu' R4. Ma che si diceva dieci anni fa io e te?
Eh? Stronzate, si diceva.-
- Boia 'ome sei incazzato.-
- Luigi, 'un ho più voglia. La vita se ne va e noi siamo qui a spera'; a spera' cosa? Di raccatta' gl'avanzi..-
- Comunque sei bello quando t'incazzi.-
- Cazzo dici?-
Luigi gli prese la mano e lo baciò sulla bocca.
- No, Luigi, io 'un..- gli si smorzarono le parole, poi abbracciò forte Luigi.
Nessuno dei due voleva mollare, così rimasero abbracciati per un tempo lunghissimo.
In piedi, davanti a quel mappamondo, davanti a quelle cazzo di Svalbard.
Con gli occhi chiusi.